Inconferibilità degli incarichi: la pronuncia della Corte Costituzionale

30 Luglio 2024

La Corte costituzionale, con sentenza n. 98 del 5 marzo 2024, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 5 giugno 2024, ha  ritenuto fondata la questione di legittimità, sollevata dal Tar Lazio, relativa al provvedimento dell'ANAC del 3 marzo 2021, n. 207 e ha dichiarato l’illegittimità costituzionale “degli artt. 1, comma 2, lettera f), e 7, comma  2,  lettera  d),  del d.lgs. n. 39 del 2013, nella parte in cui non consentono di conferire l'incarico di amministratore di ente di diritto privato - che si trovi sottoposto a controllo pubblico da parte di una provincia, di un comune con popolazione superiore a quindicimila abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la  medesima popolazione - in favore di coloro che, nell'anno precedente, abbiano ricoperto la carica di presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato controllati da amministrazioni locali  (provincia, comune o loro forme associative in ambito regionale)”, per violazione della legge delega e, dunque, dell’art. 76 della carta fondamentale.

 

La violazione della legge delega è data dall'interpretazione ampia delle cause di inconferibilità--, con l'equiparazione di incarichi di mera gestione amministrativo-aziendale a incarichi politici. La Corte, a tal proposito, ricorda che "l’art. 1, comma 50, lettera c), della legge n. 190 del 2012 aveva rimesso al legislatore delegato la disciplina dell’inconferibilità solo nei riguardi di coloro che «abbiano fatto parte di organi di indirizzo politico o abbiano ricoperto cariche pubbliche elettive». In quest’ultima categoria non potrebbero includersi coloro che (a norma delle disposizioni censurate) abbiano ricoperto la carica di «presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico», i quali, invece, eserciterebbero solo ruoli di gestione o di indirizzo politico-aziendale"

 

Secondo il giudice, inoltre, l’inconferibilità prevista dalle disposizioni censurate comporterebbe una sproporzionata restrizione dell’accesso agli uffici pubblici (artt. 3 e 51 Cost.) e del diritto al lavoro del professionista interessato (artt. 3 e 4 Cost.).

D'altra parte anche i piccoli comuni subirebbero un danno, in quanto l'inconferibilità porterebbe i professionisti a non accettare gli incarichi da parte di enti di diritto privato controllati da amministrazioni locali di ridotte dimensioni, per il timore di vedersi precluse successive nomine più prestigiose. Ciò lederebbe il principio di autonomia dei piccoli comuni (artt. 114 e 118 Cost.).

Ancora, dal punto di vista dell’amministrazione, si verificherebbe una lesione dei principi di buon andamento e di efficienza dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.), in quanto sarebbe ostacolato "il normale flusso dei professionisti più meritevoli da società controllate da enti locali di piccole dimensioni a società pubbliche di maggiore rilievo".

 

L'ANAC con un Atto di segnalazione a governo e parlamento, è recentemente intervenuta sull'argomento, evidenziando alcune criticità e auspicando un intervento normativo "volto ad escludere la rilevanza, per tutte le fattispecie di inconferibilità considerate nell’articolo 7 del d.lgs. n. 39/2013, dell’incarico in provenienza in questione, per il medesimo vizio posto a fondamento della sentenza della Corte Costituzionale (...)”.

L'Autorità ha evidenziato come l’ipotesi di inconferibilità contenuta nel "comma 1, ultima parte, lettera d), dell’articolo 7 d.lgs. n. 39/2013, è del tutto analoga a quella dichiarata incostituzionale, laddove preclude a colui che, in provenienza, sia stato presidente o amministratore delegato di un ente di diritto privato in controllo pubblico della regione, di una provincia, di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti della medesima regione o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione della medesima regione, di andare a ricoprire, in destinazione, l’incarico di amministratore nell’ambito di un'altra società privata in controllo pubblico di livello regionale".

L'unica differenza tra le due disposizioni è l’ambito territoriale di riferimento: locale per quanto riguarda l’art. 7, co. 2, ultima parte, lett. d), d.lgs. n. 39/2013 e regionale per l’art. 7, co. 1, ultima parte, lett. d), d.lgs. n. 39/2013.

 

Per ultimo l'ANAC invita il legislatore a "considerare la possibilità di intervenire rispetto alla fattispecie di inconferibilità in questione rimuovendo, in via generale, gli incarichi di presidente o amministratore delegato di un ente di diritto privato in controllo pubblico (comma 1 ultima parte e comma 2 ultima parte dell’art. 7 del d.lgs. n. 39/2013) tra quelli che rilevano in provenienza e, in quanto tali, assumono valenza ostativa al conferimento di tutti gli incarichi in destinazione presi in considerazione dall’articolo 7 del d.lgs. n. 39/2013".

Analogamente al caso preso in esame dalla Corte Costituzionale, anche le cariche di presidenti e degli amministratori di enti di diritto privato in controllo pubblico non sono da considerarsi funzioni di indirizzo politico in senso stretto, ma funzioni di indirizzo politico-amministrativo e di indirizzo politico “aziendale”. Inoltre tali cariche non sono attribuite attraverso elezioni, presupposto fondamentale affinché possano essere ricomprese tra i soggetti interessati dalle limitazioni post-mandato.

 

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